Di servizi di chef a domicilio e di società di catering ce ne sono molti, soprattutto a Milano. Ma che sappiano mescolare cucina e arte, fornelli e pennelli, no. Abbiamo incontrato Anna Nava, milanese, laureata in Lettere Moderne e con un passato da autrice tv: oggi è la fondatrice di Twinfood, un’azienda di catering artistico che, accanto a buffet aziendali e proposte gastronomiche per privati, propone curiose cene artistiche ispirate alle opere di Picasso, Mondrian, Mirò, Van Gogh e Matisse.
Anna, ci racconti come nasce l’idea di Twinfood?
L’idea è figlia mia e di Massimo Zanrosso, un amico con cui ho condiviso la passione per la cucina e per l’arte. È nata circa sei anni fa quando lavoravo ancora come dipendente. L’idea che potesse diventare una professione era ancora lontana, ci divertivamo ad organizzare cene tra amici. Poi per diversi motivi contingenti ho deciso di abbandonare il mio lavoro e questa attività ha sostituito quella precedente, molto meno creativa e meno autonoma.
Quanto hai investito?
L’investimento è stato minimo: apertura della Partita Iva, corsi di cucina per approfondire le tecniche, servizi di piatti, bicchieri e tovaglie per l’allestimento della tavola. È stato anche necessario frequentare il corso di HACCP per acquisire le regole base dell’igiene alimentare.
Come vi dividete i compiti, tu e i tuoi collaboratori?
Per quanto riguarda le “cene artistiche”, che sono molto complesse e laboriose, il team è composto da me, Massimo Zanrosso e altri collaboratori il cui numero varia a seconda del numero degli invitati. Ci sono poi i camerieri che garantiscono il servizio ai tavoli. Per i catering tradizionali, lavoro da sola in cucina e mi avvalgo di camerieri per il servizio.
Twinfood mescola arte e cucina: come hai sviluppato nel tempo le due passioni ma anche le competenze necessarie per portarle avanti e fonderle?
Non posso certo dire che la passione per la cucina sia nata da bambina, anzi, da piccola ero abbastanza inappetente e il cibo non era tra i miei interessi. Da grande è stata soprattutto la voglia di condividere il tempo con gli amici che mi ha avvicinata ai fornelli. Mi piaceva e mi piace tuttora invitare persone a cena e farle sentire uniche. Eccomi allora a sperimentare nuove ricette, ogni volta diverse, e presentarle in modo insolito.
E la componente artistica?
A questa passione si è aggiunta la mia formazione umanistica: quando studiavo storia non mi interessavano tanto le date delle battaglie, ma il modo in cui vivevano le popolazioni, cosa e come mangiavano, insomma la loro vita quotidiana e i loro riti intorno alla tavola. Ho iniziato allestendo cene medievali e rinascimentali e poi ho incontrato Massimo Zanrosso, un grafico dalle qualità eccellenti, anche lui appassionato di cucina. Con lui è nata l’idea delle cene a tema artistico. Il nostro obiettivo era riprodurre quadri famosi utilizzando la consistenza e i colori naturali del cibo. Più che competenze sono state fondamentali il senso del “buon gusto”, la ricerca e la capacità di saper trasformare un’idea in qualcosa di concreto.
Che lavoro facevi prima di Twinfood?
Ho lavorato per più di 15 anni nelle redazioni di programmi televisivi. Dall’esterno sembrerebbe un lavoro creativo, in realtà la creatività è assoggettata a così tante regole di mercato e di format che nel corso degli anni ha perso il suo fascino, almeno per me.
Che tipo di clientela ti contatta? Ci racconti le cene più particolari che hai preparato?
Per quanto riguarda le cene artistiche in genere, i clienti sono privati e arrivano con il passaparola o sono venuti a conoscenza dell’attività grazie ai redazionali usciti nel corso degli anni. In occasione di compleanni, anniversari o semplicemente per stare con gli amici, organizzano cene in casa, soluzione molto più intima rispetto ai ristoranti affollati. L’elemento conduttore della serata è l’effetto sorpresa: il menù cartaceo che ogni ospite riceve contiene le foto dei quadri e le indicazioni storiche dell’artista. Nessuno riesce a immaginare come poter mangiare un “Petit chat” di Mirò o il “Campo di grano” di Van Gogh. Le portate vengono servite in un crescendo di emozioni e quasi sempre, modestia a parte, alla fine scatta l’applauso.
E per le aziende?
Per gli eventi aziendali, dove il numero degli ospiti è più importante, e dove non è possibile la cena placée, si offre un servizio di catering più tradizionale. L’attenzione alla presentazione e ai particolari rimane sempre l’elemento fondamentale, quello cioè che caratterizza i miei catering. Il menù viene studiato insieme al cliente, seguendo le esigenze o temi specifici. Per esempio l’ultimo che ho realizzato era improntato sulle forme e i colori.
Il primo piatto artistico che hai preparato te lo ricordi?
È nata prima l’idea e poi è seguita la ricerca dei soggetti da realizzare. Io e Massimo abbiamo sfogliato decine e decine di libri d’arte, visitato mostre, fatto esperimenti. Il primo comunque è stato “Icaro Jazz” di Matisse.
Quali materie prime adoperi e dove le reperisci?
Per noi conta non solo la forma ma anche sostanza, quindi appagamento della vista ma soprattutto del palato. L’attenzione alle materie prime è fondamentale. Mi rifornisco direttamente dai produttori locali che garantiscono freschezza e qualità, evitando le catene infinite della distribuzione.
I vantaggi di questo lavoro?
La mia è una struttura molto snella e a basso costo. È un lavoro che io definisco “cotto e mangiato”, nel senso che faccio la spesa nel momento in cui mi viene confermato un servizio, per un numero preciso di persone. Questo mi permette di non avere eccedenze e scarti e soprattutto di garantire la freschezza dei prodotti, diversamente da quanto può avvenire nei ristoranti dove è necessario avere delle scorte che non sempre vengono consumate. Inoltre gestisco il lavoro e il mio tempo in assoluta autonomia.
E gli svantaggi?
Direi che non ci sono svantaggi, anche se il lavoro autonomo non ti dà la stessa tranquillità economica del lavoro dipendente, ma questo fa parte del gioco. La consapevolezza che ogni cosa che faccio è il prodotto della mia creatività e della mia energia è impagabile. Ogni volta è una sfida.
Progetti futuri?
Il “food on demand”, utilizzando il sistema di conservazione del sottovuoto. Garantire alla propria famiglia un’alimentazione diversificata, ben cucinata e sana spesso è un’impresa impossibile. Molte famiglie, per mancanza di tempo, si affidano ai cibi precotti e industriali, ricchi di conservanti e dal gusto uniformato. Io preparo per loro pietanze genuine, a volte ricercate, a volte molto semplici, utilizzando prodotti di qualità. Le consegne vengono effettuate settimanalmente con una scelta sempre diversificata e in base alla stagione e alle esigenze del cliente (le intolleranze, ad esempio). Il sottovuoto permette una conservazione di media durata in frigorifero e di lunga durata in freezer: basta poi immergere il sacchetto in acqua bollente e il nostro risotto è pronto e gustoso come se fosse stato appena cucinato.
Fonte: Uncomag.com